Una delle epigrafi pop e più rappresentative per un’intera generazione dell’ultimo scorcio del XX secolo recitava e recita: “Everything not saved will be lost”. Questo il messaggio che appariva ai milioni di giocatori della consolle Nintendo negli anni ’90 al momento di abbandonare il gioco che si stava eseguendo, all’apparire del cosiddetto “Quit Screen”. Infatti, prima della nascita della funzione di autosave, il gadget più desiderato da ciascuno di essi era la nuovissima memory card: un’innovazione dell’epoca e un supporto di registrazione che consentiva di salvare la partita in corso. Possibilità, questa, che inaugurava implicazioni tecnologiche, concettuali e antropologiche allora del tutto inedite rispetto alla ancora nascente civiltà digitale, e che ne prefigurava altre ancora. E oggi infatti, nel 2018, diventa interessante riflettere sulla significativa e ora “naturale” estensione di quello stesso assunto, traendone le somme e trascendendone la sostanza verso piani più radicalmente aperti. Ovvero, a partire dall’immediato emergere nella nostra mente – non appena quella sentenza venga riletta oggi, qui & ora – della possibilità fatale di un suo ribaltamento perfettamente speculare. Una riflessione vera e propria e un riflettersi che segnano e dettano un ribaltamento di percezione, nell’oramai acquisita e stabile consapevolezza emotiva e culturale dell’ambiguità sostanziale – sintetica e naturale – dell’esperienza individuale estesa dalla nostra peculiare condizione storica ed esistenziale.
Ovvero, quella condizione definita come postdigitale, la cui onda di marea qui si disperde verso un’ulteriore e stringente sintesi dialettica, che increspa e motiva ogni possibile orizzonte del “possibile”: “Tutto ciò che non è salvato verrà perduto”; “Tutto ciò che è salvato verrà perduto”; “Tutto verrà perduto”. L’installazione al neon, urbana e site specific, di Marotta & Russo, “Everything (Not) (Saved) Will Be Lost”, è un progetto appositamente pensato per integrarsi concettualmente e fisicamente nell’area della “Domus del Chirurgo” a Rimini, reinterpretandone il luogo e l’occasione, ovvero la “Biennale del Disegno”. L’opera, infatti, si propone come un invito a fruirne come il luogo ideale e reale della riflessione, dell’incontro e del raccordo fra le diverse stratigrafie della storia e della memoria umana. Un richiamo a porsi a personale e diretto confronto con ciò che è passato e ciò che è presente, e quindi con la consapevolezza delle proprie radici e la responsabile ricerca di un rinnovato punto di equilibrio rispetto al proprio futuro. E questo, nella dimensione morale e testimoniale del confronto relazionale – a un tempo privato e pubblico – fra singole identità e persone, fra singole identità e comunità e – ancora – fra singole identità e civiltà.